In un gruppo composto genitori , insegnanti e studenti di un liceo scientifico di Roma si discute di un caso di bullismo. Un ragazzo è terrorizzato di tornare a scuola perché i compagni lo considerano uno stupido e lo hanno insultato e picchiato. I genitori giustificano il comportamento dei figli sostenendo che il perseguitato ha dei problemi psichici. Gli insegnanti dicono di non conoscere i motivi per cui il ragazzo non vuole tornare a scuola, e influenzati dagli altri studenti, lo ritenevano svogliato e bugiardo. I ragazzi del gruppo ridono fra loro spalleggiandosi perché si ritengono protetti dai genitori e creduti dai professori nella loro versione falsa del caso. In un gruppo analogo un professore racconta che, intervenuto a dividere due studenti che si picchiano a causa di una ragazza contesa, si trova davanti i due contendenti coalizzati insieme alla ragazza, che lo minacciano diffidandolo dall’occuparsi di loro. Alla fine delle lezioni il professore trova che alla sua macchina hanno tagliato le gomme.
Per giustificare l’assenza del figlio infortunato a causa di un incidente da lui provocato, la madre dice al professore che il ragazzo in fin dei conti ha investito una zingara e quindi non capisce perché la facciano tanto lunga quelli della Polizia.
Questi casi sono stati scelti fra i tanti che ho conosciuto attraverso il lavoro da me realizzato in alcune scuole e parrocchie romane, per un progetto proposto alla Regione dal CeIS di don Mario Picchi, e finalizzato a recuperare i principi di giustizia, consapevolezza, solidarietà fra i ragazzi, e a restituire ai genitori e agli insegnanti la rispettiva autorità, liberata da atteggiamenti di tipo protettivo e consolatorio che tanto vanno di moda nell’attuale società.
I MAESTRI
Spesso si sente affermare che non esistono più buoni maestri e modelli, e sono scomparsi punti di riferimento. Occorre chiedersi se non se ne possano individuare di tradizionali o nuovi e se altri ne emergano dall’attuale società. Maestri tradizionali operano in ambienti familiari, nell’ambito scolastico e nella sfera religiosa, sia parrocchiale che finalizzata a incontri di vasta partecipazione. I nuovi maestri, talvolta capaci di forti spinte emulative e solidali, si trovano fra i cantanti, i calciatori e i campioni sportivi in genere. Quelli spesso discutibili esibiti con il supporto fortemente suggestivo dei mass media sono i presentatori e i giornalisti televisivi, i protagonisti dei reality shows e il potente medium di internet: esponenti di un mondo virtuale, attirano l’immaginario giovanile senza che venga operata una valutazione reale su cui misurarsi; il rischio è che determinino comportamenti in contrasto con una assunzione di responsabilità, proiettati verso ideale avulsi dai principi etici e morali. Le illusioni del guadagno e del successo invadono i giovani, affascinati dall’universo consumistico che li fa sentire unici, incanalandoli in una massa da sfruttare economicamente cancellandone le finalità di una vita socialmente e moralmente valida.
I GIOVANI
Sono i figli a imporsi ai genitori in acquisti, svaghi, viaggi, cibi, condizionati dai mass media che puntano su di loro, influenzabili e refrattari ai limiti del bilancio familiare. I genitori competono con loro inseguendo una eterna giovinezza, volendo essere amici dei figli per sentirsi moderni e anelando al gradimento dei ragazzi: è un modo di abdicare alla propria responsabilità, dimenticando l’impegno preso al momento della nascita di un essere a cui dover dare dei principi e non assoggettandosi a quanto farà di suo capriccio lui. Sui condizionamenti televisivi i genitori devono riprendere in mano la situazione, rispettando loro stessi la misura e la scelta nella fruizione con accurato impegno critico: se i giovani subiscono l’influenza del mondo virtuale, sono da richiamare al loro dovere di educatori i genitori: pur riconoscendo il lato positivo della televisione come divertimento e apprendimento, essi devono discernere la qualità dei messaggi ed essere i primi a mutare atteggiamento nei confronti di una televisione sempre più spazzatura. Ci sono giovani che pur potendo usufruire di tutto, ottenendo qualunque cosa dai genitori anche prima che ne manifestino il desiderio, rimangono indifferenti ad ogni sollecitazione, spesso abitano con i genitori anche in età adulta, rifiutando di assumersi una qualche responsabilità di lavoro o familiare. Altri giovani si gettano con impegno nello studio o nell’apprendimento di un mestiere; ma non basta diventare bravi professionisti o artigiani per realizzare la propria umanità in senso morale e solidale. Spesso il lavoro intenso nasconde incapacità affettive, smania di guadagno, volontà di potere; e quando è finalizzato al bene altrui, come in molto volontariato, talvolta si tratta di una scalata a un prestigio personale che si ammanta di altruismo e di religiosità. Occorre invece che vi sia una reale propensione alla solidarietà sociale, certo difficile se non segnata da una sorta di vocazione, ma da ricercare in modo che se non si riesce a fare del bene, almeno non si leda l’altro. Molti giovani finalizzano un impegno assunto all’inizio in forma di volontariato come un lavoro definitivo; si occupano di portatori di handicap, disturbati psichici, malati di aids, ragazzi down ecc.; devono essere sostenuti da opportuni appoggi psicologici e ne va saggiata l’effettiva disponibilità, che non sia dettata solo dalla scelta di un’occupazione ancora disponibile in una società avara di possibilità lavorative per le nuove generazioni.
GENESI DEL DISAGIO E SUPERAMENTO
Famiglia e scuola non riescono a proteggere i giovani dai richiami di una società seduttiva. Determinante è la competizione sfrenata che si manifesta in ogni settore di attività. Essa è provocata da quella che il filosofo René Girard definisce rivalità mimetica: è in sostanza la spinta a occupare il posto dell’altro o di appropriarsi di un oggetto in suo possesso in quanto elementi relativi all’altro, non per necessità o volontà effettive di possesso. Da essa nascono sentimenti negativi – odio, invidia, gelosia rabbia, impulso all’annientamento e soprattutto violenza verso gli altri e verso di sé. Essa è alla base della depressione/euforia che ha più manifestazioni: tossicodipendenza, anoressia/bulimìa, gioco d’azzardo, shopping compulsivo, smodata cura del corpo in senso estetico e sportivo, eccesso di attaccamento al lavoro e dipendenze affettive che spesso si mutano in tragedia quando un partner abbandona l’altro.
Il sistema educativo, sia nell’ambito familiare che in quello scolastico e con maggior risalto nelle strutture religiose che si aprono a meetings di forte impatto culturale e sociale possono tentare di smontare il meccanismo della competizione sfrenata.
Gli incontri sperimentati in istituti scolastici e parrocchiali fra i tre soggetti interessati al problema, finalmente in dialogo e non in contrapposizione, in cui sono stati coinvolti più di mille ragazzi, circa trecento genitori e un centinaio di insegnanti, hanno aperto qualche spiraglio per uno sviluppo positivo dei rapporti interpersonali e la riscoperta e rivalorizzazione dei sentimenti che rendano consapevoli della bellezza di operare nella dimensione della carità secondo i principi di san Paolo e di sant’Agostino, riconosciuti anche al di fuori dell’universo cristiano.1
Bibliografia
Maricla Boggio, (2001) “Farsi Male”, edizioni Falzea, Vibo Valentia;
Alain Ehrenberg, (1999) “La fatica di essere se stessi”, Biblioteca Einaudi, Torino;
Michel Foucault, (2004,a) “Gli anormali", Feltrinelli, Milano, 4ta. Edizione 2004;
René Girard, (2001) “Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo”, Adelphi, Milano;
Axel Honneth, (2002) "Lotta per il riconoscimento. Proposta per un'etica del conflitto", Il Saggiatore, Milano,
Paul Ricoeur, (1996), “Sé come un altro”, Jaca Book, Milano
(2005) "Percorsi di riconoscimento", Cortina, Milano ;
Thich Naht Hanh, (2005) “L’unica nostra arma è la pace. Il coraggio di costruire un mondo senza conflitti”, Mondadori, Milano.
Francisco Mele:
Didatta presso l’Istituto Europeo di Formazione e Consulenza Sistemica, docente di Sociologia della Famiglia Istituto di Scienze Psicopegagogiche e sociali
"Progetto Uomo" - ”.
In Argentina si è laureato presso l’Università del Salvador fondata dai Gesuiti; ha conseguito il Ph.D in psicologia clinica; ha diretto istituzioni minorili e ha lavorato in carceri e ospedali psichiatrici.
In Italia, dal 1986 è direttore dell’Istituto della Famiglia del CeIS fondato da don Mario Picchi, dove realizza per enti ed istituti progetti di prevenzione e formazione nell’ambito delle dipendenze.
Oltre a saggi ed articoli in riviste scientifiche, fra i suoi libri:
Io diviso/Io riunito – per una psicoetica dell’operatore sociale, Roma, 2001; Le spie dell’incertezza – famiglia, scuola, istituzioni: la costruzione del Sé allo sbando, Roma, 2004; Il disincanto – le patologie dell’abbondanza in una comunità terapeutica per doppia diagnosi, insieme a Maricla Boggio e Raffaella Bortino, Roma,2006.