Interviste

La giustizia nelle istituzioni
Giovanni Conso
Mercoledì, 17 marzo 1999

 

Incontro Giovanni Conso nel suo studio-biblioteca, alla Consulta. Sui tavoli sono disposte le tesi degli studenti che si laureano con lui, alla LUISS dove attualmente insegna, dopo aver avuto per decenni la cattedra di procedura civile e di procedura penale nelle università di Stato. Presidente della Corte Costituzionale per un mandato, attualmente ne è presidente emerito.
Degli operai stanno facendo delle ripuliture e sistemazioni nei locali dove si trova il suo studio. Per non interrompere il loro lavoro, il professore decide di cercare un altro luogo dove parlare con me. Andiamo percorrendo varie sale di consultazione della biblioteca, frequentata da studenti e studiosi. Conso ne saluta alcuni, informandosi del livello di elaborazione dei loro scritti. Appartiene al suo stile, di delicatezza e rispetto per l'altro, questo essersi allontanato dal suo spazio, piuttosto che modificare il lavoro degli operai.

Il professor Conso mi chiede di fargli conoscere le domande che intendo rivolgergli. Ascolta con attenzione, commentando via via quanto vado esponendogli e in alcuni momenti accennando già a delle risposte. "Non sono domande facili!", esclama poi sorridendo. Le mie domande fanno riferimento al lato più delicato di un ruolo, di carattere giuridico, che intenda non prescindere da certe scelte individuali, nel pieno rispetto delle convinzioni e dei principi altrui, con particolare attenzione al patire dell'altro.

Giovanni Conso ha voluto rispondere alle domande rimeditandole e scrivendone con scrupolosa precisione le risposte, che mi ha inviato senza sollecitazioni da parte mia. Secondo il suo stile.

F. M. - Professor Conso, nella sua persona lei ha riunito diversi aspetti dell'impegno che si può manifestare nella nostra società, come docente di diritto, in rapporto con i giovani, come giudice costituzionale, in una delle cariche più alte dello Stato, come ministro, nel dicastero particolarmente delicato che riguarda la Giustizia, come partecipe di iniziative internazionali, nell'ottica di una tutela più adeguata dei diritti umani.
In ciascuna di queste mansioni, lei ritiene che la Giustizia - elaborata dal potere legislativo - abbia forti possibilità di oscillazione a seconda di chi la insegna, la applica, o la amministra?
In altre parole, ciò che riguarda le norme giuridiche di uno Stato può mutare in relazione all'ideologia e all'etica dell'individuo che le applica?
Ancora in altre parole, oltre alla giustizia c'è un margine per la carità - la misericordia - : è dello Stato di valutare questa possibilità?

G. C. - I margini di valutazione personale dei problemi della giustizia sono senz'altro maggiori nell'ambito dell'insegnamento, sia per la libertà che ne caratterizza l'esercizio sia per lo spazio che al diritto di critica viene di conseguenza messo a disposizione. Negli altri settori l'individualità, dovendo costantemente fare i conti con i compartecipi delle rispettive attività (nel primo caso il collegio giudicante, nel secondo la compagine governativa e soprattutto chi la presiede, nel terzo le componenti straniere), è per forza di cose indotta a tenersi ancorata il più possibile all'oggettività delle norme da applicare, delle scelte politiche da effettuare, delle linee direttrici da perseguire. Riassuntivamente, si potrebbe dire che, allorché più posizioni vengono a confronto, la razionalità finisce per avere, almeno normalmente, il sopravvento sull'audacia interpretativa o propositiva.

F. M. - Se la legge contrasta con l'etica di un individuo che deve applicarla, deve prevalere l'applicazione della legge a vantaggio di chi la chiede, oppure la posizione di chi rifiuta secondo coscienza quella legge che contrasta con in suoi principi morali? In altre parole, la volontà di quale dei due individui deve prevalere?
Non ritengo sufficiente come risposta quella dell'obiezione di coscienza, fragile scappatoia che non risolve il problema di fondo, non solo perché essa viene usata talvolta per comodo, ma perché in situazioni di emergenza non porta a reali risoluzioni.
Una donna che vuole abortire mentre l'unico medico disponibile è contrario all'aborto, può offrire un esempio in tal senso.

G. C. - L'incidenza dell'ideologia e dell'etica personale si trova a fruire di spazi molto ristretti. Ancora minore l'impatto della misericordia, così come quello della pietà. La giustizia deve sempre avere a base il raccordo con la legalità. Gli aspetti umani possono, anzi debbono essere tenuti presenti quando la legge lascia al giudice margini più o meno ampi di discrezionalità, come quello insito nell'irrogabilità della sanzione penale tra un massimo e un minimo, oppure quando si tratta di applicare circostanze attenuanti implicanti un giudizio di valore o di valutare situazioni di eventuale non punibilità. Tipico il recente caso del pretore che ha riconosciuto l'esimente dello stato di necessità ad una persona, affamata e senza mezzi, appropriatasi di una modesta dose alimentare in un supermercato.
Altro è il discorso, praticabile soprattutto sul piano politico, che in presenza di posizioni così contrapposte da non essere conciliabili, si preoccupa di privilegiare il soggetto debole.
In tal caso la via è quella di perseguire una riforma illuminata.
Chi è professionalmente tenuto ad applicare una legge non conforme alla propria etica, non può assolutamente discostarsene, né nel senso di darne un'interpretazione non consentita né nel senso di sottrarsi alla sua applicazione, a meno che la legge stessa non gli riconosca espressamente (ed eccezionalmente) il diritto di "obiettare" per ragioni di coscienza debitamente dimostrabili. In tali casi, e solo in tali casi, non si può pretendere da alcuno di tenere un comportamento che la propria coscienza ripudia in via di principio. Al di fuori di tali casi, non resta altra alternativa che quella di dimettersi, a meno che vi sia la possibilità di farsi sostituire. Nessuno, in definitiva, può essere obbligato ad agire contro coscienza. L'esempio limite è quello della donna che "vuole" abortire ma che incontra il diniego per ragioni di coscienza dell'unico medico disponibile; non vedo perché debba prevalere il desiderio della donna sul caso di coscienza del medico. Abortire non è obbligatorio, a parte ogni discorso sul diritto alla vita del nasciturno. Naturalmente, a diversa conclusione si dovrebbe arrivare se si trattasse di aborto terapeutico.

F. M. - In particolare, nella sua lunga attività universitaria che cosa ha voluto trasmettere ai giovani suoi studenti in rapporto alle lezioni da lei tenute?

G. C. - Ai suoi studenti il docente è, anzitutto, tenuto a trasmettere il più possibile del sapere inerente alla materia insegnata, e ciò sia per contribuire alla loro professionalità futura sia per onorare la propria. Ma c'è, ci dev'essere, posto anche per altre acquisizioni: la priorità del metodo sull'improvvisazione, la coerenza nell'impegno, il rispetto delle idee altrui e, più in generale, il peso dei valori, a cominciare da quello dela legalità, il che significa anche dar risalto agli aspetti deontologici.

F. M. - In ultima analisi, può l'individuo formato attraverso un'etica alta contribuire a rendere più giusta la nostra società secondo il diritto?

G. C. - Non c'è dubbio. Credo, anzi, che si tratti di una condizione indispensabile perché la società possa diventare più giusta, o, se non altro, meno ingiusta. Rispettare le norme non è soltanto un obbligo giuridico, ma, almeno di regola, anche un fatto di moralità, se è vero che il connotato primo di un corretto vivere sociale è costituito dal ripudio dell'illegalità. Nel caso, poi, che una norma si appalesi iniqua, la via da seguire è chiaramente indicata dal sistema democratico: battersi perché il Parlamento la modifichi.

F. M. - Come considera il Terzo Settore, attraverso l'apporto degli enti e delle istituzioni di volontariato impegnati nella ricerca di elevazione sociale, quali ad esempio dei corsi della CEE, il premio teatrale Fava, istituti di appoggio ai giovani, iniziative nelle carcere, organizzazioni come il Centro Paolo Borsellino di don Giuseppe Bucaro, il Centro Italiano di Solidarietà di Don Mario Picchi, il gruppo Abele di don Luigi Ciotti, la Fondazione Luigi Di Liegro, ecc.? Possono contribuire ad un innalzamento della società portando i più segnati dal bisogno a partecipare alle forme più elevate dello sviluppo della persona umana?

G. C. - Il volontariato è il grande polmone che sta dando respiro a questa società resa asfittica dalla ricerca spasmodica del profitto in un'ottica di egocentrismo esasperato. Il contributo di elevazione sociale che esso potrà dare sarà tanto maggiore quanto meglio saprà curare i rapporti tra le sue componenti e coordinarsi con le iniziative istituzionali operanti per i medesimi fini. Ciò contribuirà ad innalzare il livello del vivere sociale non solo nel senso di venire incontro alle esigenze dei più segnati dal bisogno, ma anche nel senso di arricchire la dimensione spirituale di quanti danno apporti concreti al volontariato.


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“Io Diviso/Io Riunito”
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